Mario De Micheli 1973

Timur Incedayi disegna e dipinge la città, le sue strutture, il traffico delle sue strade, i metrò sotterranei, le fabbriche; e disegna e dipinge gli uomini che, nell'ambiente urbano, si muovono, vivono, agiscono, hanno pensieri e sentimenti.
Disegna e dipinge dunque il rapporto tra uomo e città. Ma ciò che distingue la sua visione da quella di altri artisti interessati a questa medesima tematica è la bivalenza del suo - atteggiamento verso questa «materia» della sua ispirazione.

 

    

Non c'è dubbio ch'egli abbia coscienza precisa dei processi alienanti a cui i «personaggi» trasferiti sulle sue grandi tele sono sottoposti nella situazione oppressiva delle metropoli moderne; è tuttavia altrettanto vero ch'egli avverte al tempo stesso il fascino e la forza dello spettacolo urbano, delle sue prospettive, del suo paesaggio, della sorprendente efficienza tecnologica.
Per più di un aspetto questa osservazione preliminare mi pare indispensabile alla comprensione dell'opera di Incedayi. Forse la sua prima passione per l'architettura, che appena giunto in Italia da Istanbul, sua città natale, cercò• di soddisfare iscrivendosi alla Facoltà di Architettura del Politecnico di Milano, può almeno in parte spiegare tale inclinazione verso i problemi dello scenario urbano.

Ma in realtà tale inclinazione, attraverso le immagini che egli in modo così calzante va enunciando nei suoi quadri a partire dal '65, rivela oggi un complesso di ragioni senz'altro più ricche e profonde. Incedayi, voglio dire, sente il dissidio di fondo che oppone l'uomo alla città e la città all'uomo, ma non lo sente neo-romanticamente, cioè come se un simile dissidio fosse fatale, ineluttabile nella condizione di questa civiltà tecnologica che ha dato vita allo sviluppo smisurato dell'habitat umano, dei «luoghi» dove l'uomo opera, costruisce, compie i suoi gesti, svolge le sue funzioni. Le macchine di Incedayi, le apparizioni tecniche dei suoi quadri, hanno si qualcosa di incombente, qualcosa anche di minaccioso, ma sono pure apparizioni di viva suggestione cariche di una loro paurosa bellezza.

Perché non è possibile che una tale bellezza cessi di essere paurosa e una tale efficienza di essere oppressiva? E' questa la domanda che sembra si debba intuire nelle forme urbane, nelle strutture, negli strumenti che Incedayi disegna e dipinge con tanta evidenza.

E d'altra parte i «protagonisti» di questo scenario, gli uomini di Incedayi, sia pure costretti nei duri gusci metallici delle automobili, nelle carrozze metropolitane, alle prese con ingranaggi, dentro gabbie o gallerie, chiusi in caschi mostruosi, con le mani che si trasformano in chele d'acciaio, in tenaglie, in aste elettrificate, sono personaggi che conservano una statura non umiliata, il senso non dominato della propria sostanza umana: nell'antro dei miracoli tecnologici non perdono cioè la propria fisionomia, il proprio profilo.

Potranno dunque questi uomini risolvere il dissidio a loro favore, la contraddizione in cui vivono in atto a loro vantaggio?

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E' questa la seconda domanda che scaturisce dalle immagini dì incedayi, dalla semplice a quasi solenne presenza degli operai intenti al loro lavoro, fissati in una pausa della loro fatica, rappresentati nelle loro tute, nei panni quotidiani. C'è, nell'opera di Incedayi, qualcosa che può richiamare alla mente Léger, lo spirito di Léger, quel suo umanesimo costruttivista che sino all'ultimo non l'ha abbandonato. Sennonchè diversissima, nei suoi caratteri, appare la ricerca espressiva di Incedayi. Infatti, laddove Léger tende al sintetismo («Un pantalone è grande quando non ha pieghe»), Incedayi riesce anche fornire i motivi circostanziati della forma, non escludendo il dettaglio. Per lui, in altre parole, il momento dell'indagine grafica, del particolare, non è un momento aleatorio: diventa al contrario trama consistente del contesto plastico, senza che per questo ne soffra l'energia globale dell'immagine.
A me par quasi di leggere in questa qualità grafica, che si estende anche alla pittura, una raffinatezza acuta e persuasiva, che forse è giusto far risalire ad una cultura figurativa d'ascendenza medio-orientale. Comunque è proprio da queste due componenti che nasce il suo linguaggio e la conseguente proprietà delle sue immagini, dove una innata vocazione alla preziosità del segno s'accompagna ad una naturale grandezza dell'impostazione.
Ecco dunque i larghi fogli e i dipinti di Incedayi, di questo giovane artista turco alle prese coi problemi dell'uomo contemporaneo nell'ambiente che s'è costruito con le sue mani dentro una vicenda di conflitti tuttora in corso. Si tratta di un artista sicuro, dolce ed energico insieme, lirico e realista nel medesimo gesto del disegnare e del dipingere: un artista che, fra disperazione esistenziale ed entusiasmo neo-positivistico, alza le sue immagini come simboli non astratti di una speranza possibile.

 

Mario De Micheli